martedì 24 luglio 2007

Odio l’estate

La Crus e l'estate

La prossima parola
L’Estate che non c’è

Ad asciugar parole
che oggi ho steso e mai dirò

venerdì 20 luglio 2007

La valse d'Amélie

Piano Version

La Forêt - Matthieu Kassovitz

L'importante non è la caduta, ma l'atterraggio ...

Borges, Vendruscolo e la formica rossa


Ringraziare voglio il divino
labirinto delle cause e degli effetti
per la diversità delle creature
che compongono questo universo singolare,
per la ragione, che non cesserà di sognare
un qualche disegno del labirinto,
per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse,
per l’amore, che ci fa vedere gli altri
come li vede la divinità,
per il saldo diamante e l’acqua sciolta
per l’algebra, palazzo di precisi cristalli,
per le mistiche monete di Angelus Silesius,
per Schopenhauer,
che forse decifrò l’universo,
per lo splendore del fuoco
che nessun essere umano può guardare
senza uno stupore antico

per il mogano, il sandalo e il cedro,
per il pane e il sale,
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede,
per certe vigilie e giorni del 1955,
per i duri mandriani che nella pianura
aizzano le bestie e l’alba,
per il mattino a Montevideo,
per l’arte dell’amicizia,
per l’ultima giornata di Socrate,
per le parole che in un crepuscolo furono dette
da una croce all’altra,
per quel sogno dell’Islam che abbracciò
mille notti e una notte,
per quell’altro sogno dell’inferno,
della torre del fuoco che purifica,
e delle sfere gloriose,
per Swedenborg,
che conversava con gli angeli per le strade di Londra,
per i fiumi segreti e immemorabili
che convergono in me,
per la lingua che secoli fa parlai nella Northumbria,
per la spada e l’arpa dei sassoni,
per il mare, che è un deserto risplendente
e una cifra di cose che non sappiamo,
per la musica verbale d’Inghilterra,
per la musica verbale della Germania,
per l’oro che sfolgora nei versi,
per l’epico inverno
per il nome di un libro che non ho letto,

per Verlaine, innocente come gli uccelli,
per il prisma di cristallo e il peso d’ottone,
per le strisce della tigre,
per le alte torri di San Francisco e di Manhattan,
per il mattino nel Texas,
per quel sivigliano che stese l’Epistola Morale,
e il cui nome, come preferiva, ignoriamo,
per Seneca e Lucano, di Cordova,
che prima dello spagnolo
scrissero tutta la letteratura spagnola,
per il geometrico e bizzarro gioco degli scacchi,
per la tartaruga di Zenone e la mappa di Royce,
per l’odore medicinale degli eucalipti,
per il linguaggio, che può simulare la sapienza,
per l’oblio, che annulla o modifica i passati,
per la consuetudine,
che ci ripete e ci conferma come uno specchio,
per il mattino, che ci procura l’illusione di un principio,
per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia,
per il coraggio e la felicità degli altri,
per la patria, sentita nei gelsomini
o in una vecchia spada,
per Whitman e Francesco d’Assisi che scrissero già
questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e si confonde con la somma delle creature
e non arriverà mai all’ultimo verso
e cambia secondo gli uomini,
per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoi figli
perché moriva così lentamente,
per i minuti che precedono il sonno,
per il sonno e la morte,
quei due tesori occulti,
per gli intimi doni che non elenco,
per questa musica, misteriosa forma del tempo.

Jorge Luis Borges
Un’altra poesia dei doni (da L’altro, lo stesso)

Controspot acqua

Bene comune dell'umanità.

Fumetti, la Marvel uccide un mito

Sessantasei anni di vita su carta e 210 milioni di copie diffuse in 75 PaesiUn successo dovuto all'umanità del personaggio, più evidente rispetto ad altri "colleghi".
In edicola il numero che racconta la fine dell'eroe nato nel 1941. Polemica e disperazione tra i fan. Ma non è escluso un ritorno.
NEW YORK - Il mito muore all'alba dei 66 anni. Captain America soccombe per mano di un cecchino mentre esce da un immaginario palazzo di giustizia. Finisce così la vita dell'eroe a stelle e strisce dei fumetti della Marvel Entertainment, creato dalla matita di Joe Simon e Jack Kirby durante la seconda guerra mondiale, quando anche gli artisti si schieravano contro la malvagità della guerra e cercavano icone da contrapporre ad Adolf Hitler. E Captain America è stato proprio questo, con quel suo modo di incarnare il patriottismo americano. La citazione più recente: il pupazzo del supereroe è l'ultima cosa cara (ma perderà anche quella) che resta nelle mani del figlio di Will Smith nel film di Gabriele Muccino The Pursuit of Happiness.
"E' un pessimo momento per farlo morire. Proprio ora che ne abbiamo più bisogno": queste le parole di Joe Simon, che nel 1941 insieme a Jack Kirby ideò il personaggio. Captain America se ne va mentre gli Stati Uniti sono in difficoltà su teatri di guerra e questa, secondo il suo creatore, potrebbe essere una scelta sbagliata. L'eroe americano per eccellenza era figlio di una mutazione genetica subita da Steve Rogers, ragazzo del Lower East Side di New York, offertosi volontario per testare il "serum del super soldato".
Lunga la militanza di Captain America al servizio del bene: sessantasei anni di vita su carta e 210 milioni di copie e avventure lette in 75 paesi. Parte di questo strepitoso successo è dovuta alla sua umanità, più evidente e palpabile rispetto ad altri supereroi. Il personaggio non possedeva infatti poteri soprannaturali, ma capacità umane spinte al massimo e, ovviamente, un immancabile scudo a stars&stripes.
Intervistato dal New York Daily News, Joe Quesada, un responsabile della Marvel, ha dichiarato che una futura resurrezione del capitano statunitense non è da escludere, ma neppure imminente. Non è infatti raro che la Marvel faccia morire alcuni suoi eroi per poi restituirli, a sorpresa, alla vita. Fece storia il caso di Superman, che nel 1993 fu soppresso dalla DC Comics, rivale della Marvel, ma ricomparve nelle edicole già l'anno successivo. I precedenti fanno sperare i fan. Che in America e altrove, non si danno pace dopo la perdita del loro capitano.

da La Repubblica

Moderazione infinita

Nessuno è più estremista del vero moderato: perché non si è mai abbastanza moderati. C'è sempre qualcuno ancora più moderato del moderato, che lo ricatterà per non essere abbastanza moderato: non si può essere moderatamente moderati. Alla moderazione non si può applicare l'unica frase memorabile pronunciata dall'ex segretario dell'Urss, Gorbaciov, quando gli fu richiesto quale fossero le sue convinzioni religiose: «Sono un ateo non praticante».È curioso come in politica il termine «moderato» sia diventato positivo, mentre negli altri ambiti di vita è negativo, soprattutto nella forma avverbiale: se una persona è «moderatamente intelligente», non vogliamo dire che è un genio. E se è «moderatamente simpatica», non ce ne stiamo innamorando. In politica no. Il moderato è al di sopra delle parti: c'è il moderato di destra, quello di sinistra e quello di centro. Il moderato è per natura bipartisan, anzi threepartisan. Da qui la fine, inevitabile, del «riformismo moderato»: qualunque riforma gli apparirà troppo poco moderata. Un esempio geniale è stato dato dal centrosinistra sui taxi. Le licenze prima dovevano essere liberalizzate: troppo giacobino! Ecco allora un primo compromesso con la corporazione, e mandato negoziale ai sindaci. A luglio il sindaco Walter Veltroni - campione del riformismo moderato, che spera anche di diventarne il suo leader politico - promise 3.500 licenze in più, a Roma, per settembre: il che ci avrebbe portato alla metà del rapporto taxi/abitanti rispetto a Londra. Ma era ancora troppo estremista. A dicembre si parlava di 1.500 licenze in più a gennaio. Adesso non se ne parla proprio più. La riforma è evaporata, ma con moderazione.C'è un solo gruppo sociale su cui la moderazione si permette di essere smodata. Ed è nello stangare i dipendenti salariati, i precari, i pensionati, gli ammalati, gli studenti. Su di loro i balzelli (chiamati tickets), i tagli, i prelievi, gli inasprimenti, gli esuberi, gli innalzamenti, non sono mai abbastanza incisivi, chirurgici, strutturali. È chiaro: la moderazione del moderato è quella che modera le altrui aspettative e l'altrui livello di vita. Modera la nostra fiducia nel futuro.

Marco d'Eramo, da Il Manifesto

The power of the wind

La risposta? Chiedetelo al vento...

Le Città Invisibili

È l'umore di chi la guarda che dà alla città di Zemrude la sua forma. Se ci passi fischiettando, a naso librato dietro al fischio, la conoscerai di sotto in su: davanzali, tende che sventolano, zampilli. Se ci cammini col mento sul petto, con le unghie ficcate nelle palme, i tuoi sguardi s'impiglieranno raso terra, nei rigagnoli, i tombini, le resche di pesce, la cartaccia. Non puoi dire che un aspetto della città sia piú vero dell'altro, però della Zemrude d'in su senti parlare sopratutto da chi se la ricorda affondando nella Zemrude d'in giù, percorrendo tutti i giorni gli stessi tratti di strada e ritrovando al mattino il malumore del giorno prima incrostato a piè dei muri. Per tutti presto o tardi viene il giorno in cui abbassiamo lo sguardo lungo i tubi delle grondaie e non riusciamo piú a staccarlo dal selciato. Il caso inverso non è escluso, ma è piú raro: perciò continuiamo a girare per le vie di Zemrude con gli occhi che ormai scavano sotto alle cantine, alle fondamenta, ai pozzi.

Italo Calvino, da La città invisibile